𝗢𝗴𝗻𝗶 𝗴𝗶𝗼𝗿𝗻𝗼, alle 18 in punto, il 𝘀𝗶𝗴𝗻𝗼𝗿 𝗔𝗹𝗯𝗲𝗿𝘁𝗼 arrivava al parco. Sempre impeccabile, con la giacca ben stirata e le scarpe lucidate, si sedeva sulla stessa panchina, 𝘀𝘁𝗿𝗶𝗻𝗴𝗲𝗻𝗱𝗼 𝘁𝗿𝗮 𝗹𝗲 𝗺𝗮𝗻𝗶 𝘂𝗻𝗮 𝗿𝗼𝘀𝗮. La sua eleganza e il gesto ripetuto erano diventati familiari a chi frequentava il parco, ma nessuno sapeva il motivo di quella routine.

I passanti lo osservavano, incuriositi, ma nessuno aveva mai avuto il coraggio di chiedergli perché ogni sera si fermasse lì, solo, con quella rosa fresca. Fino a quando, un pomeriggio, 𝗠𝗮𝗿𝗰𝗼, 𝘂𝗻 𝗯𝗮𝗺𝗯𝗶𝗻𝗼 𝗱𝗶 𝗻𝗼𝘃𝗲 𝗮𝗻𝗻𝗶, spinto dalla curiosità, si avvicinò a lui.

“𝑺𝒊𝒈𝒏𝒐𝒓𝒆, 𝒑𝒆𝒓𝒄𝒉𝒆́ 𝒗𝒊𝒆𝒏𝒊 𝒒𝒖𝒊 𝒐𝒈𝒏𝒊 𝒈𝒊𝒐𝒓𝒏𝒐 𝒂𝒍𝒍𝒆 𝒔𝒆𝒊? 𝑬 𝒑𝒆𝒓𝒄𝒉𝒆́ 𝒉𝒂𝒊 𝒔𝒆𝒎𝒑𝒓𝒆 𝒖𝒏𝒂 𝒓𝒐𝒔𝒂?”

Alberto, sorpreso dalla schiettezza del bambino, sorrise dolcemente. “𝑽𝒊𝒆𝒏𝒊, 𝒔𝒊𝒆𝒅𝒊𝒕𝒊 𝒒𝒖𝒊 𝒂𝒄𝒄𝒂𝒏𝒕𝒐 𝒂 𝒎𝒆,” disse, indicando il posto libero sulla panchina. “𝑸𝒖𝒆𝒔𝒕𝒂 𝒏𝒐𝒏 𝒆̀ 𝒖𝒏𝒂 𝒑𝒂𝒏𝒄𝒉𝒊𝒏𝒂 𝒒𝒖𝒂𝒍𝒖𝒏𝒒𝒖𝒆 𝒑𝒆𝒓 𝒎𝒆. 𝑬̀ 𝒒𝒖𝒊 𝒄𝒉𝒆, 𝒕𝒂𝒏𝒕𝒊 𝒂𝒏𝒏𝒊 𝒇𝒂, 𝒉𝒐 𝒄𝒐𝒏𝒐𝒔𝒄𝒊𝒖𝒕𝒐 𝒍𝒂 𝒅𝒐𝒏𝒏𝒂 𝒄𝒉𝒆 𝒉𝒐 𝒂𝒎𝒂𝒕𝒐 𝒑𝒆𝒓 𝒕𝒖𝒕𝒕𝒂 𝒍𝒂 𝒗𝒊𝒕𝒂.”

Marco, con gli occhi pieni di meraviglia, chiese: “𝑬 𝒑𝒆𝒓𝒄𝒉𝒆́ 𝒏𝒐𝒏 𝒆̀ 𝒒𝒖𝒊 𝒄𝒐𝒏 𝒕𝒆 𝒐𝒓𝒂?”

Alberto abbassò lo sguardo, sfiorando delicatamente i petali della rosa. “𝑳𝒆𝒊 𝒏𝒐𝒏 𝒄’𝒆̀ 𝒑𝒊𝒖̀, 𝒓𝒂𝒈𝒂𝒛𝒛𝒐 𝒎𝒊𝒐. 𝑬̀ 𝒂𝒏𝒅𝒂𝒕𝒂 𝒗𝒊𝒂 𝒎𝒐𝒍𝒕𝒐 𝒕𝒆𝒎𝒑𝒐 𝒇𝒂. 𝑴𝒂 𝒐𝒈𝒏𝒊 𝒔𝒆𝒓𝒂, 𝒂 𝒒𝒖𝒆𝒔𝒕’𝒐𝒓𝒂, 𝒗𝒆𝒏𝒊𝒗𝒂𝒎𝒐 𝒒𝒖𝒊 𝒊𝒏𝒔𝒊𝒆𝒎𝒆. 𝑳𝒆 𝒑𝒐𝒓𝒕𝒂𝒗𝒐 𝒖𝒏𝒂 𝒓𝒐𝒔𝒂, 𝒆 𝒔𝒕𝒂𝒗𝒂𝒎𝒐 𝒔𝒆𝒅𝒖𝒕𝒊 𝒂 𝒈𝒖𝒂𝒓𝒅𝒂𝒓𝒆 𝒊𝒍 𝒕𝒓𝒂𝒎𝒐𝒏𝒕𝒐. 𝑬𝒓𝒂 𝒍𝒂 𝒏𝒐𝒔𝒕𝒓𝒂 𝒑𝒓𝒐𝒎𝒆𝒔𝒔𝒂: 𝒇𝒊𝒏𝒄𝒉𝒆́ 𝒂𝒗𝒆𝒔𝒔𝒊𝒎𝒐 𝒑𝒐𝒕𝒖𝒕𝒐, 𝒔𝒂𝒓𝒆𝒎𝒎𝒐 𝒔𝒆𝒎𝒑𝒓𝒆 𝒗𝒆𝒏𝒖𝒕𝒊 𝒒𝒖𝒊, 𝒅𝒐𝒗𝒆 𝒕𝒖𝒕𝒕𝒐 𝒆𝒃𝒃𝒆 𝒊𝒏𝒊𝒛𝒊𝒐”.

Il bambino rifletté per un momento, poi chiese: “𝑬 𝒄𝒐𝒏𝒕𝒊𝒏𝒖𝒊 𝒂 𝒑𝒐𝒓𝒕𝒂𝒓𝒍𝒆 𝒖𝒏𝒂 𝒓𝒐𝒔𝒂?”

“𝑺𝒊̀,” rispose Alberto. “𝑨𝒏𝒄𝒉𝒆 𝒔𝒆 𝒔𝒐 𝒄𝒉𝒆 𝒏𝒐𝒏 𝒄𝒊 𝒔𝒂𝒓𝒂̀, 𝒊𝒐 𝒗𝒆𝒏𝒈𝒐 𝒍𝒐 𝒔𝒕𝒆𝒔𝒔𝒐. 𝑬̀ 𝒖𝒏 𝒎𝒐𝒅𝒐 𝒑𝒆𝒓 𝒓𝒆𝒔𝒕𝒂𝒓𝒆 𝒊𝒏𝒔𝒊𝒆𝒎𝒆”.

Marco, commosso, lo guardò con ammirazione. “𝑷𝒐𝒔𝒔𝒐 𝒗𝒆𝒏𝒊𝒓𝒆 𝒒𝒖𝒊 𝒄𝒐𝒏 𝒕𝒆 𝒅𝒐𝒎𝒂𝒏𝒊?”

Alberto sorrise, gli occhi pieni di gratitudine. “𝑪𝒆𝒓𝒕𝒐, 𝒓𝒂𝒈𝒂𝒛𝒛𝒐 𝒎𝒊𝒐. 𝑳𝒂 𝒄𝒐𝒎𝒑𝒂𝒈𝒏𝒊𝒂 𝒆̀ 𝒔𝒆𝒎𝒑𝒓𝒆 𝒃𝒆𝒏𝒗𝒆𝒏𝒖𝒕𝒂.”

Così, il giorno seguente, alle 18, Marco tornò al parco. 𝗔𝗹𝗯𝗲𝗿𝘁𝗼 𝗲𝗿𝗮 𝗹𝗶̀, 𝗰𝗼𝗺𝗲 𝘀𝗲𝗺𝗽𝗿𝗲, 𝗰𝗼𝗻 𝗹𝗮 𝘀𝘂𝗮 𝗿𝗼𝘀𝗮, 𝗺𝗮 𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁𝗮 𝘃𝗼𝗹𝘁𝗮 𝗮𝘃𝗲𝘃𝗮 𝗮𝗰𝗰𝗮𝗻𝘁𝗼 𝘂𝗻 𝗻𝘂𝗼𝘃𝗼 𝗮𝗺𝗶𝗰𝗼, 𝗲 𝗹𝗮 𝘀𝗼𝗹𝗶𝘁𝘂𝗱𝗶𝗻𝗲 𝘀𝗲𝗺𝗯𝗿𝗮𝘃𝗮 𝗺𝗲𝗻𝗼 𝗽𝗲𝘀𝗮𝗻𝘁𝗲.

Giorgio La Marca