𝗗𝗼𝗺𝗲𝗻𝗶𝗰𝗼 era in piedi, da solo, sul ponte che si affacciava su un fiume nero come i suoi pensieri. La notte avvolgeva tutto nel silenzio, tranne il rumore del vento che sferzava il suo viso stanco.

𝗟𝗮 𝘀𝘂𝗮 𝘃𝗶𝘁𝗮 𝗲𝗿𝗮 𝗱𝗶𝘃𝗲𝗻𝘁𝗮𝘁𝗮 𝘂𝗻 𝗰𝘂𝗺𝘂𝗹𝗼 𝗱𝗶 𝗳𝗮𝗹𝗹𝗶𝗺𝗲𝗻𝘁𝗶: la sua attività era crollata, aveva perso amici, e il suo matrimonio era a pezzi. Non si sentiva più padre né marito, solo un uomo rotto. 𝗦𝗲𝗻𝘁𝗶𝘃𝗮 𝗱𝗶 𝗲𝘀𝘀𝗲𝗿𝗲 𝘂𝗻𝗮 𝗱𝗲𝗹𝘂𝘀𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗽𝗲𝗿 𝘁𝘂𝘁𝘁𝗶, 𝘀𝗼𝗽𝗿𝗮𝘁𝘁𝘂𝘁𝘁𝗼 𝗽𝗲𝗿 𝘀𝗲́ 𝘀𝘁𝗲𝘀𝘀𝗼. I debiti, le responsabilità, le aspettative non realizzate: il peso era insopportabile. 𝗡𝗼𝗻 𝘃𝗲𝗱𝗲𝘃𝗮 𝗮𝗹𝘁𝗿𝗮 𝘀𝗼𝗹𝘂𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗰𝗵𝗲 𝗽𝗼𝗿𝗿𝗲 𝗳𝗶𝗻𝗲 𝗮 𝗾𝘂𝗲𝗹 𝘁𝗼𝗿𝗺𝗲𝗻𝘁𝗼.

𝗦𝗶 𝗽𝗿𝗲𝗽𝗮𝗿𝗮𝘃𝗮 𝗮 𝗳𝗮𝗿𝗲 𝗹’𝘂𝗹𝘁𝗶𝗺𝗼 𝗽𝗮𝘀𝘀𝗼 quando, alle sue spalle, una vocina lo interruppe. "𝘾𝙤𝙨𝙖 𝙛𝙖𝙞 𝙦𝙪𝙞, 𝙨𝙞𝙜𝙣𝙤𝙧𝙚?", chiese un bambino che, senza timore, si era seduto accanto a lui. Domenico lo guardò sbalordito, scosso dall'intrusione. "𝙑𝙖𝙞 𝙫𝙞𝙖," rispose con rabbia soffocata. "𝙉𝙤𝙣 𝙘𝙖𝙥𝙞𝙨𝙘𝙞 𝙘𝙝𝙚 𝙚̀ 𝙥𝙚𝙧𝙞𝙘𝙤𝙡𝙤𝙨𝙤 𝙨𝙩𝙖𝙧𝙚 𝙦𝙪𝙞? 𝙑𝙖𝙞 𝙖 𝙘𝙖𝙨𝙖, 𝙚̀ 𝙩𝙖𝙧𝙙𝙞."

𝗜𝗹 𝗯𝗮𝗺𝗯𝗶𝗻𝗼 𝗿𝗶𝗺𝗮𝘀𝗲 𝗹𝗶̀, con un’espressione tranquilla, come se non fosse minimamente spaventato. "𝙉𝙤𝙣 𝙫𝙖𝙙𝙤 𝙫𝙞𝙖," disse con naturalezza. "𝙋𝙚𝙧𝙘𝙝𝙚́ 𝙫𝙪𝙤𝙞 𝙨𝙖𝙡𝙩𝙖𝙧𝙚?"

𝗗𝗼𝗺𝗲𝗻𝗶𝗰𝗼 𝘀𝗶 𝗳𝗲𝗿𝗺𝗼̀, 𝘀𝗼𝗿𝗽𝗿𝗲𝘀𝗼 𝗱𝗮𝗹𝗹𝗮 𝗱𝗼𝗺𝗮𝗻𝗱𝗮. In quel momento, per qualche motivo che non riusciva a spiegare, iniziò a parlare. "𝙉𝙤𝙣 𝙘𝙚 𝙡𝙖 𝙛𝙖𝙘𝙘𝙞𝙤 𝙥𝙞𝙪̀," confessò con la voce rotta. "𝙊𝙜𝙣𝙞 𝙜𝙞𝙤𝙧𝙣𝙤 𝙚̀ 𝙪𝙣 𝙛𝙖𝙡𝙡𝙞𝙢𝙚𝙣𝙩𝙤. 𝙉𝙤𝙣 𝙝𝙤 𝙥𝙞𝙪̀ 𝙣𝙪𝙡𝙡𝙖 𝙙𝙖 𝙤𝙛𝙛𝙧𝙞𝙧𝙚 𝙖 𝙣𝙚𝙨𝙨𝙪𝙣𝙤. 𝙃𝙤 𝙙𝙞𝙨𝙩𝙧𝙪𝙩𝙩𝙤 𝙩𝙪𝙩𝙩𝙤 𝙘𝙞𝙤̀ 𝙘𝙝𝙚 𝙖𝙢𝙖𝙫𝙤. 𝙈𝙞 𝙨𝙚𝙣𝙩𝙤 𝙪𝙣 𝙥𝙚𝙨𝙤 𝙥𝙚𝙧 𝙡𝙖 𝙢𝙞𝙖 𝙛𝙖𝙢𝙞𝙜𝙡𝙞𝙖, 𝙪𝙣 𝙛𝙖𝙡𝙡𝙞𝙢𝙚𝙣𝙩𝙤 𝙘𝙤𝙢𝙚 𝙪𝙤𝙢𝙤. 𝙉𝙤𝙣 𝙘'𝙚̀ 𝙥𝙞𝙪̀ 𝙨𝙥𝙚𝙧𝙖𝙣𝙯𝙖 𝙥𝙚𝙧 𝙢𝙚."

𝗜𝗹 𝗯𝗮𝗺𝗯𝗶𝗻𝗼 𝗹𝗼 𝗮𝘀𝗰𝗼𝗹𝘁𝗮𝘃𝗮 𝗶𝗻 𝘀𝗶𝗹𝗲𝗻𝘇𝗶𝗼. Poi, con una semplicità disarmante, disse: "𝙎𝙖𝙞, 𝙞𝙡 𝙢𝙞𝙤 𝙥𝙖𝙥𝙖̀ 𝙢𝙞 𝙝𝙖 𝙙𝙚𝙩𝙩𝙤 𝙪𝙣𝙖 𝙫𝙤𝙡𝙩𝙖 𝙘𝙝𝙚 𝙥𝙚𝙧 𝙚𝙨𝙨𝙚𝙧𝙚 𝙛𝙚𝙡𝙞𝙘𝙞 𝙘𝙞 𝙫𝙪𝙤𝙡𝙚 𝙘𝙤𝙧𝙖𝙜𝙜𝙞𝙤. 𝙁𝙤𝙧𝙨𝙚 𝙨𝙚𝙞 𝙨𝙤𝙡𝙤 𝙨𝙥𝙖𝙫𝙚𝙣𝙩𝙖𝙩𝙤, 𝙣𝙤𝙣 𝙞𝙣𝙛𝙚𝙡𝙞𝙘𝙚 𝙙𝙖𝙫𝙫𝙚𝙧𝙤."

𝗤𝘂𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗽𝗮𝗿𝗼𝗹𝗲 𝗳𝗲𝗰𝗲𝗿𝗼 𝘃𝗶𝗯𝗿𝗮𝗿𝗲 𝗾𝘂𝗮𝗹𝗰𝗼𝘀𝗮 𝗱𝗲𝗻𝘁𝗿𝗼 𝗗𝗼𝗺𝗲𝗻𝗶𝗰𝗼. Rimase per un attimo in silenzio, assorbendo il significato di ciò che il bambino gli aveva appena detto. 𝗟𝗮 𝗽𝗮𝘂𝗿𝗮. Era quella che lo stava paralizzando, non l’assenza di amore o di valore. Se avesse avuto il coraggio di affrontare i suoi mostri, forse avrebbe trovato una via d'uscita. Pensò ai suoi figli, a sua moglie. Come avrebbe potuto farli vivere con il peso di quel gesto per il resto delle loro vite? 𝗙𝗼𝗿𝘀𝗲, 𝘃𝗮𝗹𝗲𝘃𝗮 𝗮𝗻𝗰𝗼𝗿𝗮 𝗹𝗮 𝗽𝗲𝗻𝗮 𝗰𝗼𝗺𝗯𝗮𝘁𝘁𝗲𝗿𝗲.

𝗖𝗼𝗻 𝘂𝗻 𝘀𝗼𝘀𝗽𝗶𝗿𝗼 𝗽𝗿𝗼𝗳𝗼𝗻𝗱𝗼, 𝘀𝗶 𝗮𝘀𝗰𝗶𝘂𝗴𝗼̀ 𝗹𝗲 𝗹𝗮𝗰𝗿𝗶𝗺𝗲 𝗲 𝘀𝗶 𝗮𝗹𝘇𝗼̀ 𝗶𝗻 𝗽𝗶𝗲𝗱𝗶. 𝗘𝗿𝗮 𝗽𝗿𝗼𝗻𝘁𝗼 𝗮 𝘁𝗼𝗿𝗻𝗮𝗿𝗲 𝗶𝗻𝗱𝗶𝗲𝘁𝗿𝗼. Quando si voltò per ringraziare il bambino, si accorse che 𝗻𝗼𝗻 𝗰’𝗲𝗿𝗮 𝗽𝗶𝘂̀. Guardò intorno, cercandolo con gli occhi, ma il ponte era vuoto. Domenico restò lì, con il cuore che batteva forte. Per un istante, si domandò se quel bambino fosse davvero reale, o se fosse stato mandato da qualcosa di più grande. Ma decise di non chiederselo troppo.

𝗦𝗼𝗿𝗿𝗶𝘀𝗲 𝗽𝗲𝗿 𝗹𝗮 𝗽𝗿𝗶𝗺𝗮 𝘃𝗼𝗹𝘁𝗮 𝗱𝗼𝗽𝗼 𝘁𝗮𝗻𝘁𝗼 𝘁𝗲𝗺𝗽𝗼 𝗲 𝘀𝗶 𝗶𝗻𝗰𝗮𝗺𝗺𝗶𝗻𝗼̀ 𝘃𝗲𝗿𝘀𝗼 𝘂𝗻𝗮 𝗻𝘂𝗼𝘃𝗮 𝘃𝗶𝘁𝗮.

𝗣𝗲𝗿 𝗲𝘀𝘀𝗲𝗿𝗲 𝗳𝗲𝗹𝗶𝗰𝗶 𝗰𝗶 𝘃𝘂𝗼𝗹𝗲 𝗰𝗼𝗿𝗮𝗴𝗴𝗶𝗼.

Giorgio La Marca